Airbnb, sarà vero? Informazioni, dati e falsi miti. Risposte a domande che ci vengono fatte di frequente

Abbiamo raccolto in questa pagina le risposte ad alcune domande riguardo Airbnb che capita di sentire spesso.

1. “Airbnb affitta le case?”

2. “Chi sono gli host? È vero che si tratta di grandi società immobiliari?”

3. “Airbnb è causa di un turismo mordi e fuggi?”

4. “È vero che non ci sono regole per chi fa l’host con Airbnb?”

5. “Su Airbnb nessuno paga le tasse?”

6. “Le città diventano invivibili per i residenti a causa di Airbnb?”

7. “È vero che per colpa di Airbnb non ci sono più case in affitto per i cittadini residenti?”

8. “Il continuo crescere di annunci su Airbnb è un pericolo per la sicurezza?”

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1. Airbnb affitta le case?

No. Airbnb è una piattaforma digitale di viaggio dove chi ha la disponibilità di un alloggio può condividerlo, diventando così un “host”. Su Airbnb si possono trovare case, appartamenti o camere singole in numerose categorie: case per vacanza, bed & breakfast, agriturismi, boutique hotel e molto altro, messi a disposizione da privati – direttamente o tramite intermediario – oppure da professionisti.

Dal 2016 su Airbnb sono disponibili anche le Esperienze: in questo caso l’host non offre un alloggio, ma condivide il proprio tempo, passione o talento con i viaggiatori, passando dei momenti insieme e trasmettendo loro qualcosa dal punto di vista di una persona del posto.

Airbnb conta, oggi, 5 milioni di annunci di alloggi nel mondo, in 191 paesi. Nel 2017, 7.800.000 persone hanno visitato l’Italia soggiornando grazie alla piattaforma. La comunità di Airbnb conta complessivamente oltre 300 milioni di persone nel mondo.

2. Chi sono gli host? È vero che si tratta di grandi società immobiliari?

Airbnb è una piattaforma aperta a tutti: gli host sono persone che condividono un proprio spazio, e la grande maggioranza di loro, il 75%, ha reso disponibile soltanto un alloggio. Il 15% gestisce due annunci. L’host italiano tipico ha 43 anni, è donna (54%) e guadagna da questa attività 2.300 euro l’anno. A livello mondiale, la fascia di host che cresce di più è proprio quella rappresentata dalle donne, in particolare le over 60.

La maggior parte degli host presenti su Airbnb è composta da persone che hanno a disposizione uno spazio sia all’interno della prima casa (una stanza, oppure l’intero immobile quando sono in viaggio), sia in un’altra abitazione: in Italia ci sono 31,9 milioni di case possedute dalle famiglie, di cui il 37,4% è una seconda casa (fonte Istat).

Certamente coesistono con gli host occasionali anche intermediari e professionisti che, specialmente nelle località di villeggiatura, gestiscono più immobili per conto dei singoli proprietari, i quali scelgono di affidare a persone qualificate la propria seconda casa perché impossibilitati a gestire in prima persona l’accoglienza degli ospiti (quando non scoraggiati dalla burocrazia). Airbnb dà uno strumento anche a loro: piccole o medie imprese che danno lavoro a tante persone e che contribuiscono a creare turismo di qualità nelle case italiane e a promuovere l’immagine dell’Italia nel mondo.

3. Airbnb è causa di un turismo “mordi e fuggi”?

Airbnb è una delle soluzioni al turismo mordi e fuggi. Il viaggiatore che sceglie Airbnb si sposta in piccoli gruppi (2,6 persone di media); soggiorna più a lungo degli ospiti della ricettività tradizionale (3,6 nel 2017 la media del numero di notti in Italia, contro il 2,95 della ricettività tradizionale; fonte Istat), fa acquisti presso esercizi locali e in particolare in quelli del quartiere dove soggiorna. E apprezza l’ospitalità italiana: 4,7 su 5 è il voto medio ricevuto dagli host nel nostro paese nel 2017.

Chi sceglie Airbnb è interessato a vivere esperienze speciali e di qualità nella città di cui diventa, diversamente dall’escursionista giornaliero o da quello dei grandi gruppi del turismo di massa, un “cittadino temporaneo”. Gli stessi host che usano Airbnb si attivano per progetti a sostegno dei negozi di vicinato, delle attività di quartiere e dei prodotti locali. Nel 2016 Airbnb ha generato in Italia un giro d’affari di 4,1 miliardi di euro.

4. È vero che non ci sono regole per chi fa l’host con Airbnb?

No, anzi spesso le regole in materia sono troppe e contraddittorie.

In Italia esistono, infatti, numerose norme e adempimenti a cui un host deve sottostare per condividere la propria casa: le leggi nazionali disciplinano la locazione breve e le professioni turistiche, mentre a livello regionale vengono disciplinate le strutture ricettive (come i b&b, ad esempio) e altri adempimenti in ambito turistico.

Proprio le differenze fra le diverse normative, e – a volte – i conflitti che si scatenano fra lo Stato e le Regioni su chi debba disciplinare l’home sharing (è successo per esempio per le leggi regionali in materia di turismo di Toscana e Lombardia, entrambe impugnate dal Governo per incostituzionalità) rendono difficile per gli host capire a quali regole debbano adeguarsi. Anche per questo gli stessi host – che si sono organizzati in gruppi informali o vere e proprie associazioni – sono in prima linea per chiedere ai decisori pubblici maggiore semplificazione e attenzione sul tema.

In generale, agli host è richiesto, fra l’altro, di dichiarare l’inizio della propria attività (in genere al Comune), spesso di adeguare l’immobile a numerose specifiche, che vanno dalle metrature alle dotazioni della casa, ottenere credenziali e comunicare le generalità degli ospiti (alla Questura), ottenere altre credenziali e comunicare i flussi turistici a fini statistici (alla Provincia), riscuotere dagli ospiti e versare al Comune l’imposta di soggiorno dove prevista: si tratta di molti adempimenti e di altrettanti interlocutori.

Airbnb è impegnata a collaborare con le istituzioni a tutti i livelli per la diffusione di norme chiare e semplici in materia di home sharing. In Italia, per esempio, sono stati siglati protocolli di intesa con Regione Liguria e Regione Piemonte; sono stati avviati accordi sulla tassa di soggiorno con numerose città fra cui Genova, Bologna, Firenze, Palermo, Rimini, Napoli, Milano, Bergamo, Torino, Lucca, La Spezia, dove oggi l’imposta viene raccolta direttamente tramite Airbnb. Siamo inoltre impegnati in numerose azioni di sensibilizzazione al rispetto delle normative: comunicazioni dirette agli host Airbnb, pagine sull’ospitare responsabilmente, campagne online e seminari sul territorio. A Palermo stiamo collaborando a un progetto innovativo per coinvolgere i cittadini nella decisione su come spendere una parte di quanto raccolto con la raccolta della tassa di soggiorno tramite Airbnb.

Qui è disponibile un’intervista del Sole24Ore al Country Manager di Airbnb Italia, Matteo Frigerio, sul tema delle regole.

5. Su Airbnb nessuno paga le tasse?

Non è così.

È necessario, anzitutto, chiarire di quali imposte si sta parlando.

  • Imposte sul reddito degli host. Il modello Airbnb è molto diverso da altre aziende del settore digitale: tolti i costi del servizio di Airbnb, il 97% di quanto percepito dagli host italiani rimane a loro. Per quanto riguarda questi redditi, frutto di transazioni trasparenti eseguite attraverso strumenti elettronici tracciabili (es. carta di credito) sono gli host, in sede di dichiarazione dei redditi, a versare le imposte dovute in base al loro profilo fiscale. Le aliquote a carico degli host sui ricavi percepiti grazie alla condivisione del proprio alloggio variano infatti a seconda del tipo di ricettività (locazione, struttura ricettiva, impresa).
    Dal 2017 è in vigore la “Legge Airbnb” (DL 50/2017), che conferma l’applicabilità della cedolare secca al 21% sui redditi da locazione breve generati da alcuni locatori, e assegna (unico caso al mondo) compiti di ritenuta e versamento di tali imposte agli intermediari immobiliari e alle piattaforme online. Airbnb ha fortemente contestato questa norma perché non permette di identificare chiaramente a chi si applichi e pregiudica fortemente, come ricorda l’Antitrust, chi si affida a un sito che trattiene il pagamento (ad oggi, solo Airbnb!), rispetto a coloro che usano ancora il denaro contante e restano non tracciabili. Airbnb si è vista perciò costretta a presentare ricorso al TAR a difesa della community e della sostenibilità della propria attività in Italia, in attesa di discutere con il Governo come poter superare questa legge. “Sì alla tassa sugli affitti, ma non con queste regole“.
  • Corporate tax. Airbnb opera nel rispetto delle legislazioni dei Paesi in cui è presente. Ciò vale anche per quanto riguarda le imposte che è chiamata a pagare come società.
  • IVA. Airbnb assolve nei paesi di provenienza dell’host e del guest l’imposta dovuta sulle commissioni incassate, applicando le aliquote in vigore (il 22% nel caso dell’Italia). Puoi trovare ulteriori informazioni qui.
  • Imposta di soggiorno. L’imposta di soggiorno è a carico dei viaggiatori che pernottano nelle città dove essa è in vigore. La sua riscossione e il successivo versamento spettano al padrone di casa o al titolare della struttura. Per semplificare le procedure e agevolare sia gli host sia le amministrazioni locali, Airbnb ha stipulato accordi con le principali città italiane (Firenze, Milano, Bologna, Torino, Palermo e molte altre) per automatizzare la riscossione all’atto della prenotazione, azzerando completamente il rischio di evasione dell’imposta e contribuendo alla digitalizzazione del settore. Recentemente è stato siglato con ANCI Toscana un accordo-pilota per estendere il sistema a tutti i comuni, anche i più piccoli interessati.

Nel mondo, Airbnb ha stipulato accordi con oltre 400 pubbliche amministrazioni per la riscossione e il versamento delle tasse tramite la piattaforma.

6. Le città diventano invivibili a causa di Airbnb?

Degli oltre 120 milioni di arrivi turistici in Italia nel 2017 (Fonte Oss. Nazionale Turismo), 7,8 sono stati generati grazie a Airbnb. Una piccola parte (6,4%), nel complesso degli arrivi.

A Venezia per esempio, dove l’affollamento del centro storico è un tema di grande attualità, meno del 2% degli arrivi avviene attraverso Airbnb (la città potrebbe sopportare al massimo 52mila visitatori al giorno, ma ne arrivano attualmente 77mila – Fonte Università Ca’ Foscari). Si tratta di un turismo di qualità: piccoli gruppi che soggiornano più a lungo della media, diversamente dal mordi e fuggi giornaliero dell’escursionismo.

7. È vero che per colpa di Airbnb non ci sono più case in affitto a lungo termine?

Su Airbnb è disponibile meno dell’1% degli oltre 55 milioni di immobili residenziali presenti in Italia (fonte Agenzia delle Entrate); crediamo si tratti di una dimensione tale da non poter influenzare significativamente la disponibilità di alloggi. Il mercato degli affitti a lungo termine in Italia ha dimensioni limitate, poiché 80% delle famiglie è proprietario della casa in cui vive (fonte ISTAT). ISTAT spiega, inoltre, che il valore delle case in Italia continua a diminuire stabilmente dal 2012, danneggiando le famiglie che ancora oggi detengono la maggioranza degli immobili: per alcuni, condividere la propria casa può dunque essere un modo di far fronte a costi e perdite.

Va anche notato che in Italia, da diversi decenni, è in atto un progressivo spopolamento dei centri storici. È un fenomeno di lungo periodo: uno dei risultati è che in molte città oggi ci sono grandi quantità di immobili sfitti (fino al 40%, fonte Sole 24 Ore). Sul tema dello spopolamento delle aree interne e dei borghi italiani Airbnb ha avviato un progetto in collaborazione con ANCI e Ministero del Turismo, che puoi approfondire qui

8. Il continuo crescere di annunci su Airbnb è un pericolo per la sicurezza?

La sicurezza è una priorità per Airbnb. L’identità di ciascun iscritto alla community viene verificata grazie alla tecnologia sviluppata da un team dedicato.

In Italia tutti gli host, senza eccezioni, hanno l’obbligo di registrare i dati dei propri ospiti e comunicarli alla Questura attraverso il portale alloggiati. Siamo impegnati in numerose azioni di sensibilizzazione al rispetto della normativa.

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